Nei moderni impianti a biogas vengono fermentati substrati organici biodegradabili come erba, paglia, liquame, letame, rifiuti...
Nei moderni impianti a biogas vengono fermentati substrati organici biodegradabili come erba, paglia, liquame, letame, rifiuti biodegradabili, residui di produzioni alimentari, avanzi alimentari e grassi. A questo scopo i fermentatori, che sono dei contenitori stagni, vengono riempiti con materiali organici.
In questo ambiente, in assenza di ossigeno, partendo dai componenti organici in fermentazione, i batteri producono il biogas. Il biogas così prodotto viene utilizzato per la produzione di energia elettrica e di calore.
Questi impianti biogas (vedi schema) sono composti da una vasca primaria di miscelazione, eventualmente di una di igienizzazione, di un fermentatore riscaldabile principale, una vasca di stoccaggio finale ed eventualmente di un fermentatore secondario. Una volta che il biogas è stato prodotto, questo deve essere trattato e stoccato prima del suo riutilizzo. Il co-generatore è composto da un motore a gas con scambiatore di calore e generatore.
Questo, sulla base del contenuto energetico del biogas, produce energia elettrica con un rendimento di circa il 30% e calore con un rendimento di circa il 60%. L'energia elettrica viene immessa in rete. Il calore serve parzialmente per il riscaldamento dei fermentatori e il calore in esubero può essere utilizzato, ad esempio, per il riscaldamento delle abitazioni, delle strutture agricole o di altri impianti produttivi.
In un impianto di biogas c’è costantemente la presenza di atmosfera esplosiva, in particolare nella zona dei serbatoi per il gas e nei fermentatori. Per questo motivo questi impianti sono da classificare a rischio d’esplosione. Allo stato attuale la direttiva ATEX 94/9/CE e la direttiva ATEX 99/92/CE, diventano il punto di riferimento per quanto attiene le apparecchiature e i sistemi di protezione che sono destinati ad essere utilizzati in atmosfera esplosiva. La norma di riferimento per questi tipi di impianti è la EN UNI 1127-1 “Atmosfere esplosive - Prevenzione dell'esplosione e protezione contro l'esplosione - Parte 1: Concetti fondamentali e metodologia”, nella quale si differenziano tredici diverse fonti di innesco.
Si tratta di una normativa generale di protezione che prende in considerazione tutte le fonti possibili d’innesco e, in particolare, in questo caso, la protezione contro i fulmini. Tutti questi impianti si trovano isolati in aperta campagna e, quindi, sono soggetti al rischio della caduta di fulmini.
Come sempre in questi casi, il datore di lavoro ha l'obbligo di rilevare e valutare tutti i fattori di rischio per luoghi di produzione con pericolo di esplosione. Gli ambienti con atmosfera esplosiva devono essere suddivisi in zone, utilizzando a questo scopo le norme EN 60079-10-1 per quanto riguarda i gas e la EN 60079-10-2 per quanto riguarda le polveri.
A seconda dei risultati della valutazione del rischio, la definizione delle zone con pericolo di esplosione è da descrivere in un documento per la protezione contro il pericolo di esplosione.
Per quanto riguarda la protezione contro i fulmini, le norme da utilizzare sono quelle della serie CEI EN 62305. Tutte le apparecchiature elettriche che si trovano in zone classificate devono rispondere ai requisiti di sicurezza ed essere del grado di protezione adatto al tipo di zona classificata, secondo quanto previsto dalla direttiva ATEX 94/9/CE.