Vi sono una serie di fenomeni fisici che riguardano in generale tutti i dispositivi elettrici, ma che assumono una grande rilevanza nelle apparecchiature per aree classificate a rischio di atmosfere potenzialmente esplosive. Uno di questi fenomeni viene chiamato “respirazione”
di Andrea Battauz, R&D Manager di Cortem Group
Vi sono una serie di fenomeni fisici che riguardano in generale tutti i dispositivi elettrici, ma che assumono una grande rilevanza nelle apparecchiature per aree classificate a rischio per atmosfere potenzialmente esplosive.
Uno di questi fenomeni viene chiamato “respirazione” per analogia a quanto succede negli animali, nei quali l’aria dall’atmosfera esterna entra all’interno dei polmoni tramite l’inspirazione e l’espirazione.
A differenza di quanto accade nel mondo animale, dove la respirazione è un’attività primaria indispensabile per la sopravvivenza, nel caso dei dispositivi elettrici invece la respirazione è un effetto secondario, non voluto, e di solito avente ripercussioni negative.
In figura vediamo la schematizzazione del fenomeno della respirazione in un dispositivo elettrico. In essa è rappresentata una lampada con una lampadina ad incandescenza. Sebbene questa tecnologia sia ormai obsoleta, essa è quanto mai esemplificativa, perché tutti noi abbiamo avuto esperienza diretta del calore prodotto da queste lampadine una volta accese, scottandoci quando venivano toccate o percependone il calore rilasciato anche a distanza.
Il ragionamento fatto in questo caso può essere fatto per qualunque altro dispositivo elettrico, in quanto ogni conduttore in funzionamento si scalda per via del noto effetto Joule, che si manifesta in ogni conduttore al passaggio della corrente elettrica a causa della resistenza interna diversa da zero.
Nella Figura 1 possiamo vedere il fenomeno della respirazione, descritto in quattro fasi:
1 – il dispositivo è spento e l’atmosfera interna ha la temperatura T1 e la pressione P1 uguali a quelle dell’atmosfera esterna.
2 – il dispositivo viene acceso, l’aria all’interno si riscalda e, passando alla temperatura T3, si dilata; la pressione interna tenderebbe ad aumentare, se il volume V1 a disposizione dell’atmosfera interna fosse sigillato; in realtà le guarnizioni e le tipiche sigillature, che chiudono un dispositivo elettrico, non riescono a reggere una differenza di pressione neppur se piccola e di breve durata; l’aria interna che si espande fuoriesce dalla apparecchiatura, annullando il differenziale di pressione tra interno ed esterno mantenendo all’interno la pressione iniziale P1; naturalmente, anche il volume interno dell’aria, che è quello dell’apparecchio elettrico, rimane lo stesso V1.
3 – il dispositivo adesso è acceso e, dopo il transitorio iniziale, la temperatura T3 dell’aria interna (ormai superiore alla temperatura esterna) rimane stabile; poiché parte dell’aria inizialmente interna al dispositivo è uscita, la sua pressione interna rimane uguale a quella esterna e quindi uguale alla pressione iniziale P1; anche qui il volume interno dell’aria, che è sempre quello della lampada, è V1.
4 – il dispositivo viene spento e, in maniera inversa alla fase 2, l’aria contenuta all’interno si raffredda e tenderebbe a diminuire la sua pressione ma, poiché il dispositivo non è sigillato, aria esterna entra a riequilibrare la pressione che rimane così ancora P1; il volume interno dell’aria, che è sempre quello della lampada, è ancora V1.
In ogni ciclo di accensione e spegnimento le fasi 1-4 si ripetono, causando prima la fuoruscita di aria dal dispositivo elettrico e, successivamente, il risucchio di aria dall’atmosfera esterna, portando all’interno del dispositivo in ogni ciclo un ricambio dell’aria interna con quella esterna.
Tale fenomeno in ogni caso sarebbe negativo in quanto responsabile del portare inquinanti e condensa all’interno del dispositivo, ma diventa chiaramente molto più pericoloso in un contesto come quello di atmosfere potenzialmente esplosive.
Per questo, anche i dispositivi che utilizzano il metodo di protezione a sicurezza aumentata Ex-e, necessitano della valutazione delle temperature interne, considerando di fatto l’aria interna potenzialmente pericolosa alla pari dell’atmosfera esterna.
Fig. 1 La schematizzazionedel fenomeno della respirazione in un dispositivo elettrico
Potrebbe sorgere il dubbio che il fenomeno di respirazione sia impercettibile e non significativo oppure che sia richiesto un gran numero di cicli (acceso/spento) per portare all’interno di un dispositivo un volume significativo d’aria esterna.
Per provare a fare una quantificazione, supponiamo che l’aria sia un gas ideale e che segua l’equazione di stato dei gas perfetti: P V = n R T dove P è la pressione del gas all’interno del dispositivo, V il suo volume, n [1] la sua massa espressa in moli, R la costante dei gas perfetti e T la sua temperatura.
Proviamo a calcolare, alla luce di questa ipotesi, quanto variano le moli (n) di gas contenute all’interno del volume della lampada.
Inizialmente abbiamo (1) P1 V1 = n1 R T1;
quando accendiamo la lampada, la temperatura interna aumenta fino a una situazione di equilibrio T3 dell’aria interna; in questo passaggio parte dell’aria inizialmente interna al dispositivo è uscita passando dalla massa iniziale n1 (espressa in moli) a n3 mentre la sua pressione interna rimane uguale a quella esterna e quindi uguale alla pressione iniziale P1; anche qui il volume interno dell’aria, che è sempre quello della lampada, è V1;
quindi abbiamo (2) P1 V1 = n3 R T3;
ora spegniamo la lampada, in questo passaggio inverso le condizioni tornano ad essere dopo un certo transitorio quelle della lampada in fase 1.
Dal confronto (1) e (2) abbiamo:
n1 R T1 = n3 R T3 quindi n1 T1 = n3 T3 e poi n3 = n1 T1/T3
n3 è la massa di gas di partenza che rimane nel dispositivo caldo, mentre la massa di gas interno che viene ricambiato nel ciclo è Dn = n1 - n3 ; questo naturalmente avviene in ogni ciclo acceso/spento.
Proviamo a valutare un caso pratico, il fenomeno della “respirazione” produce in ogni ciclo un ricambio pari a
Dn = n1 - n3 = n1 - n1 T1/T3 = n1 (T3 - T1 ) / T3
dove T1 e T3 sono espresse in gradi Kelvin.
Supponiamo che il gas della lampada si trovi inizialmente a 20°C e si scaldi di DT= 50°C avremo che:
T1 =20°C= 293 K T3 = 343 K > Dn = n1 (343 - 293) / 343 = 0,15 n1 = 15% n1
In questo primo ciclo il ricambio è del 15% della massa iniziale (vi rimane dentro 85%) e così per ogni ciclo successivo il ricambio è il 15%. Nei cicli successivi al primo, la massa di partenza non è più quella originale ma è diminuita della quantità “respirata”, dopo il primo ciclo corrisponde al 85% di quella originale, dopo il secondo ciclo è l’85% dell’85% della massa originale e così via.
Continuando il calcolo, si trova che in una quindicina di cicli acceso/spento la sostituzione della massa originaria con quella ambientale risulta maggiore del 90%.
Si può quindi affermare che dopo una ventina di cicli l’atmosfera interna è la stessa di quella che troviamo all’esterno e di questo si deve tener conto quando si lavora in ambienti che possono presentare atmosfere potenzialmente esplosive.
Chi progetta dispositivi idonei all’utilizzo in aree classificate a rischio di formazione d’atmosfere esplosive deve conoscere e tenere in debita considerazione il tema della respirazione.
I vari modi di protezione tengono conto di quest’aspetto e ve ne è uno in particolare, identificato come “dispositivi a respirazione limitata Ex-nR”, che fa della limitazione di questo fenomeno la prerogativa principale.
A onor del vero questo modo di protezione è idoneo solo alla Zona 2, in quanto il livello di protezione che garantisce non è sufficiente all’impiego in Zona 1.
Note e riferimenti bibliografici
[1] La mole è un’unità di misura della massa o quantità di sostanza; precisamente una mole di una sostanza è la massa di quella sostanza avente un numero di grammi pari al suo peso molecolare; ad esempio, una mole di H2O, avente peso molecolare 1+1+16 = 18, corrisponde a 18 grammi di H2O; così 2 moli di H2O sono 36 (=2*18) grammi di H2O.