La storia dei modi di protezione antideflagranti - Parte II

Oggi definiamo i modi di protezione come delle tecniche che ci vengono messe a disposizione dalle norme armonizzate, al fine di soddisfare i Requisiti Essenziali di Sicurezza e Salute. I primi decenni del XX secolo si sono rivelati fondamentali per lo sviluppo delle tecniche alla base degli attuali modi di protezione.

di Andrea Battauz, R&D Project Engineer di Cortem Group

Premessa

I primi decenni del ventesimo secolo sono stati determinanti per lo sviluppo della sicurezza elettrica in ambienti a rischio di atmosfere esplosive.

Furono anni segnati da incidenti in miniera molto onerosi in termini di danneggiamenti agli impianti e perdite di vite umane. L’eco suscitato da queste tragedie spinse lo sviluppo e la domanda di apparecchiature sicure. 

Come nel secolo precedente, le ricerche più significative furono portate avanti nei paesi con la presenza di una fiorente attività estrattiva sia in Europa, che in America. Nel vecchio continente questo accadde principalmente in Inghilterra e in Germania, che all’epoca possedeva nel bacino della Ruhr uno dei più grandi siti di estrazione del carbone e del minerale del ferro. 

Su entrambe le sponde dell’Atlantico l’evoluzione della tecnica e della normativa, sviluppata per migliorare la sicurezza del lavoro in miniera, trovò in un secondo momento applicazione in contesti diversi, nell’ambito della sicurezza elettrica in aree a rischio d’esplosione.

Gli studi sugli apparecchi antideflagranti in Germania

L’elettricità all’interno delle miniere si affermò nei primi decenni del ventesimo secolo per assolvere a diverse funzioni, tra queste figuravano il lavoro meccanico tramite motori elettrici, l’illuminazione delle gallerie e dei luoghi di lavoro, la comunicazione con l’esterno della miniera per segnalare problemi o scandire particolari fasi dell’estrazione (es.: richiamare in salita i carrelli riempiti di minerale o i cambi turno).

Nell’Europa continentale lo sviluppo tecnico più importante si ebbe in Germania che poteva contare su produttori di dispositivi elettrici già molto affermati e ben strutturati. 

 A portare avanti lo sviluppo in terra teutonica delle apparecchiature a sicurezza fu l’ingegnere minerario Carl Beyling (1872-1938) presso il BVS [1], i cui studi si concentrarono su dispositivi elettrici (motori elettrici, trasformatori ed interruttori) con varie tipologie di involucro. 

Beyling, dopo gli studi in ingegneria, fu impiegato nel sindacato minerario e nel corso della sua vita scrisse numerosi libri sul tema delle miniere interessandosi sia ai pericoli derivanti dal gas grisù, sia ai sistemi di estrazione mineraria (si occupò anche degli esplosivi e dei dispositivi per farli brillare). 

Le pubblicazioni che ne derivavano riguardavano una serie di tecniche di protezione. Molte di queste confluirono nel modo di protezione che oggi indichiamo con il codice ‘Ex d’ (costruzioni antideflagranti o a prova di esplosione). 

Quest’acronimo deriva infatti dal tedesco “druckfeste Kapselung”.

Interessante anche notare come Beyling nella sua trattazione dedicasse molti sforzi allo studio della protezione derivante dalle chiusure in rete metallica, der Drahtnetzschutz che, per certi versi, riprendeva la tecnica di soppressione della fiamma utilizzata da Davy nella sua storica e collaudata lampada.

I vari studi furono sintetizzati nella prima normativa tedesca dedicata ai prodotti destinati ad operare in sicurezza nelle miniere con rischio di presenza del gas grisù. 

Il VDE (Verband Deutscher Elektrotechniker, associazione degli ingegneri elettrici di Germania) emise lo standard VDE 0170 dedicato alla progettazione di macchine elettriche, trasformatori e apparati usati nell’ambito delle miniere di grisù, nel 1912. [2]

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Figura 1: le tecniche di protezione studiate da Beyling e le controparti attuali in uso

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Le industrie con “produzioni pericolose” in Germania

La prima pubblicazione del VDE 0170 del 1912 basata sul lavoro di Carl Beyling era espressamente indirizzata ai dispositivi in miniera e al rischio dovuto al gas grisù. 

Gli anni che seguirono, seppur travagliati dal conflitto mondiale, videro il grande sviluppo dell’industria della trasformazione e della lavorazione dei derivati del petrolio. La richiesta di dispositivi elettrici sicuri anche in questa tipologia di impianti spinse l’applicazione dei concetti nati nell'industria estrattiva al contesto delle industrie emergenti. 

Il VDE 0165 del 1935 [3] è la prima norma impiantistica in Germania che estende il campo di applicazione delle miniere alle aree di “produzione pericolose”.

Sul piano delle norme di prodotto, ovvero quelle norme che impongono requisiti costruttivi all’apparecchiatura in sé, diverse prassi vennero incorporate nelle successive norme VDE 0170/0171 [4] del 1943. 

Oltre ai requisiti costruttivi, si descrisse la documentazione tecnica a corredo del prodotto (naturale evoluzione della VDE 0170 del 1912), introducendo il concetto di marcatura del dispositivo antideflagrante, nella fattispecie contrassegnata dal simbolo Ex inscritto in un cerchio (Fig. 2 qui sopra).

In quello stesso anno, a livello legislativo, un decreto della polizia in Germania stabilì che i costruttori di materiale antideflagrante dovessero attenersi alla normativa VDE e che all’interno degli impianti fosse l’ispettorato di fabbrica a decidere quanto estese fossero le aree a rischio esplosione.

Lo sviluppo tecnico e normativo nel Regno Unito

Anche in Inghilterra lo sviluppo di dispositivi antideflagranti procedeva negli stessi anni, non bisogna infatti pensare che le varie nazioni procedessero a compartimenti stagni, vi era un interscambio di materiale, apparecchiature e idee. 

La British Standards Institution rilasciò le normative sui dispositivi antideflagranti nel 1929 (BS 229-1929) e negli stessi anni le università, in primis la Sheffield University, iniziarono l’opera di stesura dei report di conformità. Nell’intervallo tra il 1922 ed il 1931 furono emessi 285 reports. 

Sin dagli inizi del XX secolo, oltre alla protezione tramite custodie antideflagranti, si era diffusa l’idea che si potesse costruire dispositivi elettrici sicuri dal rischio di innesco dell’esplosione tramite la limitazione dell’energia elettrica, ottenuta principalmente operando a bassissima tensione (12V). Il concetto era applicabile solo a dispositivi che avessero una potenza limitata, quali segnalatori o trasmettitori. La catastrofe avvenuta nella miniera di carbone di Senghenydd, dovuta alla scintilla causata da un campanello ritenuto sicuro, spinse ad indagare in profondità questa tipologia di innesco e il modo di inibirlo. 

Questo portò ad elaborare quella che più tardi si chiamerà la sicurezza intrinseca, che prese forma nella norma inglese BS 1259:1945 (rivista successivamente nel 1958). Quest’ultima era una norma piuttosto scarna, che in un documento lungo circa undici pagine poneva l’enfasi su componenti elettromeccanici come relè e solenoidi. Dopotutto i semiconduttori e il grande sviluppo dell’elettronica sarebbero arrivati solo negli anni successivi.

Conclusioni

Oggi definiamo i modi di protezione come delle tecniche che ci vengono messe a disposizione dalle norme armonizzate, al fine di soddisfare i Requisiti Essenziali di Sicurezza e Salute.Da questa breve disamina appare chiaro come i primi decenni del XX secolo si siano rivelati fondamentali per lo sviluppo delle tecniche alla base degli attuali modi di protezione. 

Note e riferimenti bibliografici

[1] BerggewerkschaftlicheVersuchsstrecke presso Dormunt 

[2] VDE 0170 "Leitsätzefür die Ausführung von Schlagwetterschutzvorrichtungen an elektrischenMaschinen, Transformatoren und Apparaten" 1912. 

[3] VDE 0165 “Leitsätzefür die errichtungelektrischer Anlagen in explosionsgefährdetenbetriebsstätten und lagerräumen” 1935. 

[4] VDE 0170/0171 "Vorschriften für schlagwetter- und explosionsgeschützteelektrischeBetriebsmittel" 1943.

Data pubblicazione: 26/04/2022

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